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La visciola di Sezze (2 luglio 2023)

Ufente, un fiume a 5 sensi (Contratto di fiume Ufente, 29 maggio 2023)

Lunedì 29 maggio alle ore 14.00 appuntamento presso la sala anfiteatro dell’I.C. Valerio Flacco in Via Bari a Sezze (LT).

Saranno presentati pubblicamente i risultati finali del progetto “Ufente, un Fiume a 5 Sensi”, finanziato dalla Regione Lazio – Ufficio di scopo. Piccoli Comuni e Contratti di fiume, nel quadro dell’avviso pubblico “Contratti di fiume delle bambine e dei bambini”. Il Comune di Sezze (LT) ha realizzato il progetto in collaborazione con il Comune di Pontinia, l’I.C. Manfredini di Pontinia, l’I.C. Caio Valerio Flacco di Sezze, l’Ecomuseo dell’Agro Pontino, Erga APS, Libera Università della Terra e dei Popoli, Memoria Storica di Sezze, TeenCanto.

All’incontro saranno presenti bambine e bambini che hanno partecipato ai laboratori didattici.

Durante l’incontro una mostra, azioni sceniche, proiezioni e la presentazione dell’Eco-Codice del Fiume Ufente realizzato dagli studenti durante il percorso.

Il cibo nella terra del mito (convegno a Sezze, 26 febbraio 2023)

Nel corso del convegno “Il cibo nella terra del mito” (Sezze, 26 febbraio 2023, dalle ore 10) il coordinatore tecnico-scientifico dell’Ecomuseo dell’Agro Pontino Antonio Saccoccio presenterà la relazione “L’ecomuseo come strumento di sviluppo locale”, con particolare riferimento alla cultura dell’ulivo e al suo paesaggio.

“Prodotti da forno e vicoli della nonna” (Sezze, 24-26 febbraio 2023)

L’Ecomuseo dell’Agro Pontino parteciperà il 26 febbraio alla prima manifestazione setina “Prodotti da forno e vicoli della nonna” con uno stand a Sezze, piazza IV Novembre, organizzato in collaborazione con la CAPOL (Centro Assaggiatori Produzioni Olivicole Latina) e la LUNITEPO (Libera Università della Terra e dei Popoli). Il tema scelto è “L’olio, l’ulivo e il suo paesaggio”.

Da Mole Muti alle Grotte di Mecenate: passeggiata a Sezze (13 novembre 2022)

Le associazioni “Memoria Storica di Sezze” e “Colli tutto l’Anno” hanno organizzato per domenica 13 novembre 2022 una passeggiata a Sezze, da Mole Muti alle Grotte di Mecenate e alla Villa Ufentina: passeggiata a Sezze (13 novembre 2022).

Con la patrocinio del Comune di Sezze e in collaborazione con il Comitato Colli per la salute pubblica e l’Ecomuseo dell’Agro Pontino.

Partenza alle ore 9:30 presso il ponte chiuso della vecchia 156 (località Canalelle).

Dalle ore 13: degustazione di prodotti tipici locali.

Sponsor dell’evento: Casale del Giglio, Dolcezze di Sezze, Azienda agricola Agru Lepini, Azienda agricola La Macèra, Farmacia della Stazione.

Ecomuseo dell’Agro Pontino alla Sagra del Carciofo di Sezze 2022

Cultura tradizionale sezze (Suso, 2021)

Sezze, località Suso, 2021. Giornata di recupero della cultura tradizionale sezzese.

A cura dell’Ass. Colli tutto l’anno, con la collaborazione di: Libera Università della Terra e dei Popoli, Ass. Memoria Storica di Sezze, Ecomuseo dell’Agro Pontino.

Nunziatina spiega e mostra ai più giovani come si fanno le “paste di visciola” (le apprezzatissime crostatine con la marmellata di visciole), le “paste di mandorla”, il calascione e le fettuccine tirate a mano. La figlia Antonella Costantini e diverse donne sezzesi, tutte in abito tradizionale, aiutano Nunziatina.

Video: Roberto Vallecoccia. Musiche e canti: I desperados.

«Voi ci avete rubato i poderi!»: una lite tra cispadani e marocchini in “Canale Mussolini” di Pennacchi

Ma soprattutto era pieno di questa gente qui dei monti Lepini e del Lazio: Sezze, Cori, Norma, Sermoneta, Bassiano, Priverno, Sonnino e poi della provincia di Roma e della Ciociaria, Alatri, Ceccano, Ferentino, Rieti, Viterbo. Tutti venuti qui a lavorare, e quelli dei monti Lepini – quando dopo un po’ di chiacchiere i miei zii hanno detto finalmente chi erano – tutti subito con il dente avvelenato. Come saputo difatti che non eravamo operai come loro sui cantieri o sui canali, ma coloni venuti a risiedere stabilmente nei poderi già costruiti e bonificati da loro, manca poco e si ripigliano il posto sulla panca che ci avevano lasciato prima: «Cispadani di qua! cispadani di là!» hanno cominciato.
Lì per lì i miei zii non hanno capito: «Ma che vorranno dire con questo cispadàn?». E mio zio Iseo ha proprio chiesto piano all’orecchio a mio zio Adelchi, che aveva studiato: «Casso signìfichelo cispadàn?».
«Casso vòtu che ne sàpia mì?» Per non restare indietro però – perché a mio zio Adelchi, ma diciamoci la verità, un po’ a tutti i Peruzzi, di restare indietro non gli è mai piaciuto con nessuno – e capito comunque che questo “cispadani” non doveva essere, nei loro intendimenti, esattamente un complimento, gli ha detto lui subito: «Ma bruti marochìn, casso vulìo da nantri?».
«I poderi, voi ci avete rubato i poderi!»
Ora però bisogna dire che qualche minuto prima – prima che si scaldassero gli animi con questa storia dei cispadani e che quelli ci riconoscessero, o credessero di riconoscerci nei presunti ladri dei loro ancor più presunti poderi – c’era già stata un’altra piccola discussione su questa Littoria e sui suoi tempi di costruzione. E uno di questi dei monti Lepini – uno di Sezze – aveva detto con scherno, lasciando capire di non essere esattamente un fascista della prima ora: «Sta bene Mussolini a volerla venire a inaugurare a dicembre. E che inaugura, le ranocchie?».
Zio Pericle s’era risentito allora, e aveva detto: «Non star parlare acsì. Se il Duce ha detto che a dicembre l’è finida, a dicembre la sarà finida. Firmato Pericle Peruzzi, orcocàn» e aveva pure sbattuto la mano sul tavolo.
«Ah, va bene! non ti arrabbiare» avevano fatto subito queglialtri cambiando discorso – anche perché in quel momento stava proprio passando davanti alla panca la ronda di due carabinieri – mentre mio zio Pericle però già si diceva da solo: «Ma che casso m’è vegnù da dire?». Pure i fratelli-Adelchi ed Iseo – lo avevano guardato con la faccia stralunata come a dire: «Pericle!». Non gli avevano detto niente ovviamente, perché quello era Pericle ed era meglio non dirgli niente, però lo avevano guardato strano e lui aveva capito: «È meglio che sto zitto va’, che la figura l’ho già fatta».
Quando però quelli hanno detto «Cispadani!» e mio zio Adelchi «Marocchini!» e quelli di nuovo «Ladri di poderi!», mio zio Pericle non ci ha visto più, ci ha messo insieme l’incazzatura per l’inaugurazione decembrina – «A fémo tuto un conto, va’» – s’è alzato in piedi e al di là del tavolo, al sezzese che aveva proprio di fronte, ha detto: «Ritira la parola, marochìn!».
«Ma che ritiro? Il cazzo che ti si frega ritiro, cispadano d’un polentone.»
«Pam!» mio zio è partito con un cazzotto e s’è tuffato di là dal tavolo. Subito ci si è lanciato anche zio Iseo. Un po’ di sezzesi si sono buttati su zio Adelchi. Un gruppo di coloni come noi – sbarcati pure loro da queste parti pochi giorni
prima, e in visita anche loro al cantiere misterioso di Littoria – avendo sentito strillare cispadani di qua e marocchini di là e nutrendo il sensato sospetto che la questione potesse in qualche modo riguardarli, si sono buttati in mezzo pure loro. Sono arrivati i pecorai di Guarcino però – dalla parte degli altri – ed è stato un casino generale.
«Fermi!» gridavano gli osti: «Fermi che arriva la Forza», ossia i carabinieri.
«Fermo un corno» gridavano i velletrani, e giù botte pure loro addosso ai nostri.
Mio zio Adelchi – che nel corpo a corpo non era mai stato così bravo come mio zio Pericle, e sempre, tutte le volte che s’erano presi, le aveva prese lui – non s’è preoccupato dei cazzotti che gli arrivavano da ogni parte sul groppone e nemmeno ha pensato a restituirli se non con qualche zampata o pugnettino di circostanza. Lui l’unico pensiero che aveva in mente durante questa temperie era: «La bicicletta! Non vorrei che con questo casino qualcuno mi fregasse la bicicletta». E s’è diretto lentamente là, con la folla degli assalitori che lentamente – sgrugnandolo – lo seguiva.
Appena però ci è arrivato e ha sentito la canna della sua bicicletta tra le mani, allora – e i miei zii lo hanno raccontato per anni – allora il Leone di Giuda si è scatenato. Pareva Sansone con la mascella d’asino – Achille sotto le mura di Troia, preso dalla sua ubris – e vorticava quella bicicletta intorno a sé come una spada celeste, facendo strage dei nemici e terrorizzandoli ulteriormente con lo strepito delle urla aguzze: «Ladro a mi? Ladro de podéri a mì? Andè via, marochìn mangiamerda marocàssi! che Dio ve stramaledìssa tuti quanti!».
E quelli indietreggiavano. Lei doveva vedere come indietreggiavano. Certe biciclettate tirava quel giorno – ossia quella notte – mio zio Adelchi, che manco con Durlindana in mano. Tanto che zio Pericle – vedendolo da lontano mentre lui andava spartendo a destra e manca calci, cazzotti e coltellate secondo la bisogna – s’era detto: «Ma varda tì l’Adelchi». E s’era sentito un moto nel cuore proprio come quella volta che voleva sparare al fattore degli Zorzi Vila – «At cópo! Dove sì ch’at cópo?» – un moto di profondo amore anche per questo fratello qua: «L’è dei Peruzzi, l’è mè fradèo quel là!». E quando a un certo punto ha perso il coltello e doveva fare oramai solo coi pugni contro tutta quella ressa, ha copiato dal fratello, ha schiodato una mezza palanca da un tavolo e ha cominciato a mulinare anche lui con quella, recuperando lo svantaggio.
«La Forza, la Forza!» s’è messo però a strillare a un certo punto un oste e si sono visti quei due carabinieri e un po’ di camicie nere della milizia che arrivavano correndo.
Il tumulto s’è sedato all’istante. I miei zii hanno fatto finta di niente, cercando solo di sgattaiolare con le loro biciclette. Mio zio Adelchi ansimava. Ogni tanto ruggiva un «Marochìn!», la bici ancora a mezz’aria.
«Tasi, bestia» gli diceva ridendo zio Iseo: «Vòtu farne carcerare?» mentre se lo tirava via, facendogli finalmente posare le ruote della bicicletta sulla terra.
Uno dei sezzesi – andandosene anche lui – senza farsi sentire dai carabinieri disse a zio Pericle: «Ci rivediamo».
«Sempre pronti» rispose piano piano, ma netto, mio zio: «Firmato Peruzzi, podere 517, Canale Mussolini. A disposisión».
Bel match e danni lievi, comunque. Giusto qualche graffio. Coltellate di striscio. «Canchero» disse però poi la moglie a zio Pericle nel letto quando – facendo l’amore – ad ogni suo minimo gesto o carezza, lui non faceva che fremere: «Non star tocàrme là, non star tocàrme qua, che me fa màl».
«Canchero d’un tacabrìghe» allora, graffiandogli più forte la schiena. Dopo però, calmata e prima di dormire: «E a mì, domàn, am tocherà de novo da dovér ramendàr ‘l pastràn» il pastrano, che s’era preso lui il grosso delle coltellate. Ma anche quelle di zio Pericle dovevano essere andate tutte a segno così, senza danni gravi per i marocchini.

Antonio Pennacchi (foto: Marco Tambara, 2010)

L’ottagola (ottacola) setina: un favoloso intreccio di ciliegie. Perché si chiama così?

Antonella Costantini, referente dell’antenna ecomuseale di Sezze e responsabile dell’Associazione “Colli tutto l’anno”, ci informa sulla tradizione dell’ottagòla.

“Si cercava di raccogliere le ciliegie con il picciuolo doppio – racconta – e si iniziavano ad intrecciare ad un ramo, si faceva in modo che venisse bella compatta senza lasciare spazi vuoti. La ottagola generalmente veniva fatta dai ragazzi, per poi portarla in regalo alle proprie fidanzate. A me hanno insegnato a farla i miei genitori. La tradizione è particolarmente viva nella frazione di Suso, nel comune di Sezze”.

A Sezze chi sa ancora fare l’ottagola l’ha imparato dai genitori o dai nonni. L’ottagola veniva regalata dai ragazzi alle fidanzate, ma c’è chi ricorda che veniva donata anche alle maestre.

Resta poco chiara l’origine del termine “ottagòla” (ma alcuni dicono “ottacòla”). Si fa riferimento al numero “otto”, a “ora” o ad altro? E poi ha a che vedere con la “gola”? Chiediamo alla comunità setina (e non solo) di aiutarci a risolvere la questione, fiduciosi che qualcuna o qualcuno saprà illuminarci sull’etimologia di una tradizione ancora oggi tanto amata.

Aggiornamento.
Alcuni informatori di Sezze e dintorni ci hanno messo a conoscenza che l’ottacola era un’usanza anche di Maenza (e qui aveva il nome di “cannata”) e di Cori (“cacciarella”). Abbiamo ricevuto conferme sul fatto che si portava in dono alle fidanzate ma anche alle maestre. Discorso più complesso e controverso, come prevedibile, quello legato all’origine del termine. La testimonianza più certa ce l’ha fornita Fausto Cianfoni, che ha rintracciato il termine nel “Vocabolario Etimologico Setino”, opera di Domenico Pecorilli, studioso locale che consultò antichi vocabolari e interrogò numerosi anziani di Sezze. Il Vocabolario del Pecorilli riporta questa definizione:
uottacòla s.f. – Composizione di ciliegie intrecciate attorno ad un rametto terminante ad uncino (It. ant. Incannata; così chiamata in quanto l’intrecciatura avveniva attorno ad una canna tagliata per lungo in quattro parti, tenuta integra a una estremità, quella di fondo, ovviamente). [I ragazzi, per portare a casa le ciliegie raccolte, non disponendo di un adeguato recipiente, ma soprattutto per farne una confezione da regalare alla maestra, gareggiando in abilità e menandone gran vanto, intrecciavano le ciliegie (… quelle con i peduncoli uniti in coppia o terzina) attorno ad un asse (… un rametto terminante ad uncino, tenuto in posizione eretta) fino a formare un cilindro, variamente colorito e compatto, dell’altezza voluta]. [Il termine uottacòla è lieve corruzione di uottàcola, diminutivo “alla latina” di uòtte “botte” (lat. buttis dimin. butticola o buttacola), cosiddetta per similitudine di forma con quest’ultima].
L’etimologia da buttacola, piccola botte, è convincente. Tuttavia alcuni informatori locali credono che il termine derivi dal fatto che le fessure praticate sul ramo o sulla canna siano otto. Non è improbabile pensare a uomini e donne che, avendo perduto la consapevolezza riguardo all’origine del termine, abbiano cercato di spiegare in altro modo la parola. Per completare il quadro, abbiamo registrato anche un’altra etimologia popolare, che rimanda alla “gola”, caratteristica che effettivamente ispira il ricchissimo intreccio di ciliegie.

Un sopralluogo in località Longara (Sezze)

Questa mattina sono andato con Antonella Costantini in località Longara, toponimo che sta a indicare una striscia di terra lunga e stretta. Da Sezze si prende via Montagna, la strada che conduce, appunto, alla montagna, l’antica via che permetteva il transito e il commercio tra Sezze e Carpineto. Dopo circa tre chilometri si raggiunge la Longara, un pianoro ai piedi di Monte Forcino. Il paesaggio, ormai primaverile, appare incontaminato, tra prati in fiore, farnie e cerri imponenti, secolari, tutto intorno colline verdeggianti. Un manipolo di pastori conduce qui al pascolo pecore e capre. E’ interessante notare come le capre selezionino ciò che mangiano, preferendo i germogli, i fiori, gli apici delle foglie. Incontriamo Elvezio, uno di questi pastori, che tiene pecore e capre a Tre Pozza, che si trova a centocinquanta metri di altitudine sopra la Longara. Lì ha tre capanne coniche rivestite di stramma: una di queste funge da ricovero per il bestiame; la seconda ha la funzione di laboratorio per produrre il formaggio; nella terza mangia e dorme (in alcuni periodi dell’anno). Abbiamo incontrato anche Santuccio, il titolare dell’omonimo ristorante setino, intento a raccogliere sui prati della Longara la mentuccia in compagnia del figlio: ora capiamo il “segreto” dei carciofi serviti nel suo locale. Oltre alla mentuccia, questa zona ha molto altro da offrire: asparagi selvatici, ciliegi, alberi di visciole e sorbole.

Roberto Vallecoccia


[Roberto Vallecoccia e Antonella Costantini sono referenti dell’antenna di Sezze dell’Ecomuseo dell’Agro Pontino]

Come sempre, l’Ecomuseo invita chiunque desideri contribuire al tema a inviare informazioni, integrazioni, commenti.

Santuccio e il figlio raccolgono mentuccia selvatica per il loro ristorante (fotografia di R. Vallecoccia)
Pecore e capre al pascolo in località Longara (fotografia di R. Vallecoccia)
Particolare della Longara e dintorni (in basso destra) tratto dalla Carta escursionistica dei Monti Lepini ‐ scala 1:25.000 (ed. Il Lupo) – Un ringraziamento a Mauro Quatrana per la fotografia.
Formaggio misto di latte ovino e caprino prodotto in località Longara