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Ufente, un fiume a 5 sensi (Contratto di fiume Ufente, 29 maggio 2023)

Lunedì 29 maggio alle ore 14.00 appuntamento presso la sala anfiteatro dell’I.C. Valerio Flacco in Via Bari a Sezze (LT).

Saranno presentati pubblicamente i risultati finali del progetto “Ufente, un Fiume a 5 Sensi”, finanziato dalla Regione Lazio – Ufficio di scopo. Piccoli Comuni e Contratti di fiume, nel quadro dell’avviso pubblico “Contratti di fiume delle bambine e dei bambini”. Il Comune di Sezze (LT) ha realizzato il progetto in collaborazione con il Comune di Pontinia, l’I.C. Manfredini di Pontinia, l’I.C. Caio Valerio Flacco di Sezze, l’Ecomuseo dell’Agro Pontino, Erga APS, Libera Università della Terra e dei Popoli, Memoria Storica di Sezze, TeenCanto.

All’incontro saranno presenti bambine e bambini che hanno partecipato ai laboratori didattici.

Durante l’incontro una mostra, azioni sceniche, proiezioni e la presentazione dell’Eco-Codice del Fiume Ufente realizzato dagli studenti durante il percorso.

Pianificazione attività educative al Museo della Terra Pontina

Il Museo della Terra Pontina e l’Ecomuseo dell’Agro Pontino stanno pianificando una serie di attività educative rivolte a studenti della scuola primaria e secondaria.
Questo martedì Manuela Francesconi (direttrice del Museo), Ornella Donzelli (responsabile della didattica museale), Angelo Valerio (responsabile legale dell’Ecomuseo), Antonio Saccoccio (direttore tecnico-scientifico dell’Ecomuseo) si sono confrontati con alcune docenti dell’Istituto Comprensivo “Frezzotti-Corradini” di Latina per elaborare un percorso didattico per gli alunni di numerose classi scolastiche. Il percorso, suddiviso in due momenti coincidenti con i due quadrimestri, comprenderà una visita alle principali sale tematiche del Museo, l’illustrazione di vari progetti elaborati dal Museo, la visita alla mostra ecomuseale “Voci dalle acque” curata da Chiara Barbato e l’approfondimento di alcune idee e pratiche del processo ecomuseale. Parteciperanno agli incontri con gli studenti diversi collaboratori del Museo e dell’Ecomuseo.

Note di pedagogia ecomuseale (di Antonio Saccoccio – Latina, giugno 2021)

Sabato 26 giugno 2021 si è tenuto a Latina il convegno “Maria Montessori, una proposta educativa nell’Agro Pontino”, organizzato dall’Opera Nazionale Montessori e la cooperativa Astrolabio di Latina. Antonio Saccoccio, coordinatore tecnico-scientifico dell’Ecomuseo dell’Agro Pontino e presidente della Libera Università della Terra e dei Popoli, ha presentato una comunicazione intitolata “Note di pedagogia ecomuseale”, di cui riproponiamo la registrazione.

Relatori:
– Prof.re Giuseppe Lattanzi, Direttore Scientifico del Museo “Terre di Confine” di Sonnino
– Prof.ssa Sandra Chistolini, docente ordinario di pedagogia presso la facoltà di Roma Tre
– Prof.re Benedetto Scoppola, Presidente dell’Opera Nazionale Montessori
– Dott.ssa Martina Crescenzi, insegnante e docente nei corsi Opera Nazionale Montessori
– Prof.re Antonio Saccoccio, Coordinatore tecnico scientifico dell’Ecomuseo dell’Agro Pontino

Sono intervenuti:
– Damiano Coletta, Sindaco di Latina
– Gianmarco Proietti, Assessore alla Pubblica Istruzione di Latina
– Leonardo Valle, Direttore Generale Astrolabio

Moderazione: Dott.ssa Pina Caruso

Conversazioni pontine: Dante Ceccarini

Dante Ceccarini è medico chirurgo e pediatra, ma anche poeta in dialetto sermonetano e autore di importanti studi sul dialetto locale. Interessati da quest’ultima attività, intraprendiamo con lui una conversazione.

(Antonio Saccoccio) Buongiorno Dott. Ceccarini, lei è un medico, ma da decenni è attivissimo in ambito culturale. È noto soprattutto per le sue poesie in dialetto sermonetano, anche se ne ha composte anche in lingua italiana. Da dove nasce la sua passione per la poesia dialettale?

(Dante Ceccarini) Buongiorno. Io sono nato a Sermoneta ed ho vissuto nel paese lepino buona parte della mia vita. Quindi, sin dalla nascita, sono stato immerso in questa “lingua del cuore” che è il dialetto, sia in ambito familiare che nell’ambito degli amici, dei vicini di casa e dei conoscenti. Sono stato sempre affascinato dalla bellezza e dalla concisione della parola dialettale e dagli innumerevoli modi di dire dialettali che servono, come “utensili glottici”, per esprimere sensazioni, stati d’animo, situazioni di vita, ecc.
L’occasione ultima che mi ha spinto, poi, a scrivere libri in dialetto è stato il reperimento di un piccolo glossario di termini sermonetani, scritto da un signore che ora non c’è più (Candido Stivali): da lì sono partiti i miei dizionari e gli altri libri in dialetto.

(A.S.) Lei ha ideato anche un concorso di poesie in dialetto rivolto a bambini sermonetani. Ci racconta quest’altra esperienza?

(D.C.) Io sono convinto che, per tutelare, valorizzare e difendere il dialetto, bisogna rivolgersi alle nuove generazioni, facendo conoscere loro i termini dialettali direttamente dalle persone più anziane. Riscoprire, cioè, antichi termini dialettali in un’opera che ho chiamato di “archeologia dialettale”. Naturalmente affiancando il dialetto alla lingua italiana, senza avere la pretesa di sostituirla, anzi cercando di scoprire le influenze reciproche tra lingua nazionale e lingua locale. Per far ciò bisogna rivolgersi ai bambini e ai ragazzi. Quindi nel 2010 ebbi l’idea di fare un Concorso di poesie in dialetto sermonetano, dal titolo “Sermonet’amo”, rivolto proprio ai bambini e ai ragazzi delle scuole del territorio di Sermoneta (la IV e V elementare, e le 3 classi della scuola media). In ciò sono stato supportato dalla mia Associazione culturale, l’Archeoclub di Sermoneta (di cui ero Presidente in quel periodo), da una serie di altre Associazioni del Territorio, dal Comune di Sermoneta e, naturalmente, dal plesso scolastico “Donna Lelia Caetani” di Sermoneta. I bambini e i ragazzi preparavano per tempo le loro poesie in dialetto, naturalmente aiutati dai genitori, nonni, zii, conoscenti, ecc., e alla fine dell’anno scolastico veniva organizzata una bella cerimonia di premiazione all’interno della scuola (il primo anno all’interno del castello Caetani). I premi consistevano (e consistono) in buoni acquisto libri e materiale scolastico, sia per il singolo studente che per la classe. Dal 2010 abbiamo organizzato 8 edizioni del Sermonet’amo, e i ragazzi hanno scritto, in questi anni, più di 1000 poesie in dialetto. Nel 2020 si sarebbe dovuta tenere la nona edizione, ma, a causa della pandemia, è stata rinviata: speriamo di tenerla nel 2021. Alcuni ragazzi sono stati premiati anche in ambito regionale.

(A.S.) Non solo creatività, ma anche studio e ricerca. Lei ha scritto dizionari sermonetano-italiano e italiano-sermonetano.

(D.C.) Ho scritto nel 2010 il Primo Dizionario Sermonetano-Italiano e qualche anno dopo il Secondo Dizionario Sermonetano-italiano ed il Primo Dizionario Italiano-Sermonetano. In questi 3 Dizionari sono riportate migliaia di parole dialettali, ma il mio lavoro di studio e ricerca non è finito lì. Giornalmente, aggiorno i vari dizionari con altri termini dialettali (e relative traduzioni), intervistando le persone più anziane di Sermoneta, ma anche le persone di altre età. Ciò perché il dialetto, come tutte le lingue, muta nel tempo, si arricchisce di nuovi termini ed altri ne perde. Perciò il dialetto sermonetano degli anni ‘20, ‘30 è diverso da quello del dopoguerra, da quello degli anni ‘70 e ‘80 e da quello di oggi. Da ciò nasce la necessità di intervistare e di apprendere da persone di diverse fasce di età, anche dai giovani. Come dicevo, aggiorno continuamente i vari Dizionari, nei files del mio computer, e sono arrivato a contare circa 20000 termini dialettali. Inoltre ho scritto anche un libro sui Proverbi, modi di dire, filastrocche, maledizioni sermonetane, messe a confronto con analoghe espressioni dei paesi dei monti Lepini, del Lazio e con agganci anche in ambito nazionale. Anche in quest’ultimo caso, aggiorno continuamente i files del computer con nuovi proverbi, modi di dire ecc.

(A.S.) Spesso voi poeti dialettali date vita a eventi collettivi, in cui recitate i vostri componimenti. Ne nascono momenti di grande condivisione per la comunità lepina e pontina.

(D.C.)  Sì, è così. C’è un grande fiorire di poesia dialettale sui monti lepini e ci sono molti studiosi di dialetto che, pur mantenendo la passione dello studio del proprio dialetto, hanno “virato”, come me, verso la poesia dialettale e in lingua italiana. Prima della pandemia c’era un susseguirsi di incontri poetici, maratone dialettali, concorsi di poesia dialettale, ecc. in tutti i paesi dei monti lepini (da Cori a Sezze, da Bassiano a Norma, da Sermoneta a Maenza, ecc.). Con la pandemia gli eventi in presenza naturalmente si sono molto affievoliti ed arrestati, ma stiamo facendo degli incontri poetici su vari blog, pagine facebook ed altro. Speriamo di riprendere a pandemia finita.

(A.S.) Ultimamente si è dedicato anche alla poesia italiana. Quali differenze nel comporre versi in dialetto e nella lingua di Dante e Petrarca?

(D.C.)  Sono già 6-7 anni che scrivo anche poesie in italiano. Ma contemporaneamente anche in dialetto. Certe volte le scrivo prima in italiano e le traduco in sermonetano, altre volte le poesie nascono direttamente in sermonetano e poi le traduco. La differenza tra lo scrivere in italiano e lo scrivere in dialetto è difficile da spiegarsi. Il dialetto mi dà una connotazione ed una emozione più intima (o intimista), specialmente riguardo ad alcuni temi, come l’amore, il ricordo, la nostalgia (o dolore del ritorno, in questo caso inteso come dolore del ricordo). L’italiano mi dà una dimensione più ampia, più universale ed una possibilità di espressione (nel senso della varietà di termini e significati più ampia e più profonda). Con il dialetto posso usare circa 20000 lemmi, con l’italiano qualche centinaio di migliaia. In breve, il significato è il medesimo (o quasi), mentre quello che varia è il significante.

(A.S.) La sua professione di medico e pediatra esercita un’influenza sulla sua attività poetica?

(D.C.) Senz’altro la mia professione di medico e pediatra è importantissima, direi essenziale, per la mia attività poetica. Con il contatto quotidiano con i bambini che curo (e per contatto intendo non solo l’atto medico, ma anche il parlare, lo scherzare, l’immedesimarmi nel bambino che ho di fronte) ho una ispirazione continua dal punto di vista poetico. L’essere bambino è di per sé una forma di poetica. Inoltre l’essere medico, e quindi parlare con i genitori, i nonni, i parenti, mi aiuta molto nello scoprire parole dialettali, espressioni, modi di dire, proverbi ecc. Per cui, con alcuni di questi parenti, mi esprimo (e ci esprimiamo) solo in dialetto.

(A.S.) Lei è prima di tutto un sermonetano. Ha idee da proporre per il presente e il futuro di Sermoneta o più in generale dellAgro Pontino e dei Monti Lepini?

(D.C.) Ho un’idea (e una speranza) fondamentalmente. A pandemia finita, organizzare un grande evento, un Concorso Internazionale di Poesia a Sermoneta, con l’aiuto del Comune di Sermoneta e della Fondazione Caetani. Un concorso formato da tante sezioni (poesia in italiano, poesia in dialetto, poesia giovani, videopoesia, sillogi e libri, ecc.). Ma il Concorso, con una Giuria qualificata, può estendersi anche a tutti i monti Lepini e non solo Sermoneta, con la collaborazione e l’unità dialettale di tutto il territorio. Speranza vana, utopia? Non so, vedremo. Lo scopriremo solo vivendo.

(A.S.) La ringraziamo per la sua disponibilità e speriamo di poter collaborare ancora per trasformare questa sua speranza in realtà.

Dante Ceccarini con Osvaldo Bevilacqua durante le riprese della trasmissione “Sereno Variabile” (Rai Due)

* I libri di Dante Ceccarini sono reperibili presso la Libreria Candileno Punto Einaudi al Sermoneta Shopping Center oppure presso La Mia Libreria in piazza della Libertà 35/37, a Latina.

Quelques questions à Hugues de Varine sur les écomusées, l’éducation et Paulo Freire (par Antonio Saccoccio)

Hugues de Varine è il padre e l’ideatore degli ecomusei, ed è da decenni impegnato nel promuovere lo sviluppo locale in numerosi paesi del mondo. Più volte è stato in Italia, ospite delle più importanti realtà ecomuseali.
Pubblichiamo qui di seguito l’intervista recentemente rilasciata da de Varine ad Antonio Saccoccio, direttore/coordinatore dell’Ecomuseo dell’Agro Pontino, che gli ha posto alcune domande relative all’importanza dell’aspetto educativo nel processo ecomuseale. De Varine ha recentemente sviluppato alcuni di questi temi durante il seminario organizzato da ICOM Europa e ICOM CECA à Fundão (Portogallo), in cui ha presentato una relazione intitolata “Le Musée Communautaire, agent d’éducation populaire”. Saccoccio è interessato soprattutto alle idee che de Varine ha ereditato dal pensiero pedagogico di Paulo Freire. Il dialogo intrapreso su questi temi con il museologo e agente di sviluppo francese è una tappa della ricerca portata avanti dal 2013 da Saccoccio, ricerca che coinvolgerà presto altri attori del mondo ecomuseale italiano e non.
Si pubblica l’intervista nella lingua in cui è stata condotta (francese). Seguirà una traduzione italiana.

(Antonio Saccoccio) Cher Hugues de Varine, je pense que l’aspect éducatif est fondamental dans le processus des écomusées. Vous en avez aussi parlé très souvent. En particulier, vous citez souvent la pensée pédagogique de Paulo Freire. Vous l’appelez “mon maître”. Quand et comment cette prédilection est-elle née?

(Hugues De Varine) Entre 1970 et 1974, j’ai participé à titre volontaire et militant à la création et au développement d’une ONG internationale d’initiative française appelée INODEP : Institut Œcuménique pour le Développement des Peuples, fondée par des missionnaires catholiques et protestants dans l’esprit de l’encyclique Populorum Progressio et de l’un de ses rédacteurs Louis-Joseph Lebret. Nous avons choisi comme président Paulo Freire, qui était à l’époque en exil en Europe et conseiller du Conseil Œcuménique des Eglises à Genève. Il a accepté et pendant les années suivantes, non seulement il a présidé formellement l’INODEP, mais en plus il nous a enseigné ses idées et ses méthodes. Et naturellement j’ai lu ses livres traduits en français. Il nous a aidés à concevoir les objectifs et les programmes de l’INODEP, en Amérique Latine, en Afrique et aussi en Asie. Puis, lorsque j’ai quitté l’ICOM que je dirigeais pour partir prendre un job en province, j’ai quitté l’INODEP où j’avais présidé l’association française qui gérait l’ensemble.

En 1972, lorsque je préparais la Table Ronde de Santiago, j’ai demandé à Paul Freire s’il accepterait d’être le principal intervenant de la réunion, ce qu’il a accepté. Mon idée état qu’il réfléchisse au musée comme il avait réfléchi à l’école. Mais le gouvernement dictatorial brésilien a mis son veto.  Puis, j’ai revu Paulo Freire une dernière fois, un peu longuement, chez lui, à São Paulo en 1992. Et depuis, ayant beaucoup travaillé au Brésil sur des projets communautaires et patrimoniaux, j’ai retrouvé ses idées qui sont là bas très souvent mises en pratique dans de nombreux domaines. Actuellement, plusieur masters ou thèses de muséologie sont en cours à partir des idées de Paulo Feire.

(A.S.) Vous avez appris de la pensée de Paulo Freire le concept de “culture vivante”. En particulier, avec Arlindo Stefani, un de disciples de Paulo Freire, vous avez élaboré une vaste utopie intitulée “culture vivante et développement”. Qu’est ce que c’est?

(H.d.V.) C’est une idée que nous avons eue, Arlindo et moi, en France à la fin des années 70, pour expérimenter des méthodes de développement local participatif, et que nous avons appliquée sur divers projets de terrain, notamment dans des foyers de travailleurs immigrés et dans l‘habitat social. Il s’agissait de partir de l’observation participative de la vie quotidienne, par les gens eux-mêmes, pour les amener à faire naître des propositions concrètes et de les appliquer eux-mêmes au niveau de leur vie quotidienne et des territoires. Ce que nous appellerions maintenant en portugais “capacitação” ou en anglais “empowerment”. Il s’agissait de faire prendre conscience du savoir de chacun dans une démarche collective ou mutualisée, pour ensuite prendre confiance dans sa capacité de résoudre des problèmes réels mais simples, puis progressivement aller vers la solution de problèmes de plus en plus complexes. C’est un processus long et lent, très exigeant en termes de confiance, de maîtrise du langage, avec très peu de moyens techniques et le plus souvent sans aucun soutien des autorités. C’est une utopie réaliste, car nous avons montré que ça marche, mais personne n’y croit parce que de nos jours il faut toujours aller plus vite et obtenir des résultats. Cela ressemble un peu à de l’homéopathie sociale.

(A.S.) Pour ceux qui s’occupent d’écomusées, il est très important de distinguer l’éducation bancaire de l’éducation libératrice. Pourquoi?

(H.d.V.) Le musée traditionnel, comme l’école, du primaire au supérieur, a pour but d’imposer des savoirs, avec des méthodes plus ou moins sophistiquées (dites “pédagogiques”), mais procédant toujours de haut en bas. C’est une manière d’assurer chez les visiteurs la (re)connaissance d’objets, d’œuvres, de documents, de traditions, de connaissances qui ont été choisis et définis par des savants, porteurs de disciplines académiques (histoire de l’art, histoire, archéologie, ethnologie, sciences de la terre, technologies, etc.). C’est pour la plupart des visiteurs une forme d’assimilation culturelle à la haute culture. Comme l’apprentissage de la lecture ou de l’écriture à l’école, c’est important pour assurer une sorte de minimum vital, mais la culture « générale » ainsi communiquée est essentiellement morte, sauf pour quelques pourcentages des visiteurs qui ont hérité ou acquis des codes et des clés, et qui ont le temps et les moyens de les faire fonctionner. D’ailleurs, les statistiques montrent que moins de 10% de la population ont accès à ces savoirs, ne serait-ce que parce que les autres n’en éprouvent pas le besoin. Restent les touristes qui constituent la grande masse des publics des musées et des sites historiques, mais c’est une autre histoire qui relève plutôt de la curiosité et des loisirs. C’est pourquoi on peut appeler cette muséologie “bancaire”: elle accumule des connaissances, des impressions et des émotions sur des “comptes culturels” individuels qui sont plus ou moins dormants. Seuls un très petit nombre de ces comptes vont produire (être créateurs ou créatifs).

Le musée libérateur (écomusée, musée communautaire, etc.) procède autrement. Il part de la condition des gens, dans leur communauté de vie et/ou de travail, sur leur territoire, de leurs savoirs, de leurs croyances, de leurs forces d’imagination, d’initiative, de coopération, pour produire du développement social, culturel, environnemental, économique. Le patrimoine n’est pas un objectif, mais un matériau, un outil, un capital que la communauté apprend à connaître, à apprécier pour ses diverses qualités, et à utiliser ou transformer, pour répondre à ses différents besoins, en collaborant à égalité avec les pouvoirs locaux. C’est toute la question de la subsidiarité. Je connais beaucoup d’écomusées italiens qui ont déjà obtenu des résultats remarquables en respectant, parfois sans le savoir mais spontanément, ce genre de méthodes.

(A.S.) Vous avez dit que le développement soutenable exige une participation consciente et informée des citoyens. Mais la démocratie représentative habitue les citoyens à déléguer et non à participer. Comment ce problème peut-il être résolu? Est-ce un problème politique ou éducatif pour vous?

(H.d.V.) C’est essentiellement politique et on le comprend mieux quand on regarde des musées réellement communautaires, comme en Amérique Latine, ou des musées autochtones / indigènes au Brésil ou au Canada. Il n’y a que deux façons de parvenir à un développement local soutenable, donc nécessairement participatif, c’est-à-dire à la co-décision : ou bien le pouvoir (local) accepte d’être partagé avec les forces vives de la population (la communauté) ; ou bien la communauté elle-même conquiert le droit de partager la décision par la négociation, la manifestation ou la sanction électorale. Le travail d’éducation vise à amener la population/communauté : (1) à devenir capable de penser par elle-même, à avoir confiance en soi, à s’approprier son patrimoine et (2) à prendre l’initiative et à s’affirmer comme sujets-acteurs-partenaires de son développement.

(A.S.) À propos des “musées réellement communautaires” d’Amérique Latine, en quoi sont-ils différents des écomusées européens?

(H.d.V.) Ce sont des initiatives prises par les communautés, souvent avec l’aide d’un facilitateur issu de la communauté, qui a été formé. Tu peux voir: Cuauhtémoc Camarena y Teresa Morales, Manual para la creación y desarrollo de Museos Comunitarios, Fundación Interamericana de Cultura y Desarrollo, 2009, La Paz (Bolivia).

(A.S.) En lisant vos textes et ceux de Paulo Freire, j’ai eu une idée que j’ose partager avec vous de manière simple (peut-être trop simple, presque un syllogisme). L’éducation dans les écoles est généralement “bancaire”. Ceux qui ont reçu une éducation bancaire ont tendance à proposer une muséologie bancaire. En Amérique Latine une certaine partie de la population ne s’est pas adaptée aux processus bancaires. Cela se produit-il parce que la scolarisation est moins répandue qu’en Europe? Ou peut-être à cause de conditions socio-économiques et politiques plus difficiles? Ou peut-être simplement grâce à des penseurs libertaires comme Freire qui ont proposé une éducation libératrice? Ou y a-t-il des raisons différentes?

(H.d.V.) Les musées communautaires, les musées indigènes ou autochtones, et aussi certains écomusées naissent dans les endroits où l’éducation formelle publique est peu développée (début du primaire) et surtout où les enjeux sont politiques: relations avec les pouvoirs centraux, problèmes de territoires, volonté de sauvegarder des formes culturelles ou cultuelles qui risquent d’être détruites par le “progrès”, etc. Pratiquement ce sont les mêmes populations qui ont fait l’objet des expériences de Paulo Freire avec les paysans du Nord-Est brésilien (Voir l’Education, Pratique de la Liberté). Ces musées sont donc des outils politiques.

(A.S.) Dans le chapitre “Connaissance du patrimoine” de votre livre “Les racines du futur”, vous nous invitez à réfléchir sur la “notion de complexité du patrimoine, reflet de la complexité de la communauté et de sa culture vivante”. Vous écrivez que “chaque élément du patrimoine est le fruit d’une alchimie longue qui implique des individus, leur environnement, des interactions avec d’autres individus et d’autres environnements, des influences extérieures”. Ce sont des déclarations d’un intérêt considérable, qui me rappellent la pensée du sociologue et théoricien de la complexité Edgar Morin. Même Morin est très intéressé par les questions d’éducation et il adopte aussi une perspective pluridisciplinaire.

(H.d.V.) Je n’ai presque jamais rien lu d’Edgar Morin, seulement quelques articles dans les journaux (je ne suis pas du tout cultivé et je n’ai pas de formation universitaire). Je réagis et j’écris sur mes observations et mes pratiques et je ne peux pas comparer mes idées avec celles des intellectuels. Certaines de mes phrases peuvent apparaître profondes, tant mieux, mais c’est involontaire…

(A.S.) Une dernière question. Dans vos essais et vos articles l’influence de la pensée de Freire est claire lorsque vous parlez de transformation, de changement. Lorsqu’un être humain est bien éduqué (conscientisé), il est prêt à transformer la réalité, pas seulement à essayer de la garder telle qu’elle est. C’est aussi un concept politique, n’est-ce pas?

(H.d.V.) Bien sûr. La réalité, comme le patrimoine, est en transformation constante. Le patrimoine « décrété » (les collections des musées, les monuments et les sites classés) est un trésor mais il est mort puisqu’on veut le conserver éternellement (?) pour sa valeur universelle (?). Le patrimoine vivant, comme la culture vivante, évolue avec nous, il est utile, il peut disparaître, servir à autre chose, changer de signification, même perdre son sens de patrimoine à la suite de changements dans les goûts et les besoins d’une nouvelle génération. Prendre soin du patrimoine, ce n’est pas seulement le conserver intact, c’est plutôt le faire servir.

03-05/08/2019

Hugues_de_Varine