Processi partecipativi, ossessione turistica, immaginario esogeno (alcune considerazioni a margine dell’incontro del 9 luglio 2022 a Roccagorga)

Roberta Tucci – Ci tengo a ribadire la necessità che si avvii una procedura partecipativa con un gruppo di persone locali interessate a ripristinare un rapporto con quell’emergenza del territorio (il villaggio di capanne in località Valle La Caccia a Roccagorga), disposte a spendersi e al tempo stesso a godere dei risultati che si otterranno. Se poi il sito diventerà un punto di attrazione anche per chi viene da fuori, nulla osta, ma questo potrà/potrebbe essere un risultato molto più alla lunga e comunque non un obiettivo dell’Ecomuseo. Ho visto, sempre seguendo l’Ecomuseo delle Acque del Gemonese, come i processi partecipativi ecomuseali hanno un loro valore socio-culturale già in quanto processi, oltre ai risultati che poi si ottengono. Proprio con i cantieri del paesaggio questo appare chiaro, ma anche con le mappe di comunità. Una volta avviato e sviluppato il processo sul villaggio di capanne di Roccagorga, potreste valutare se stimolare analoghi processi in altri poli montani che ricadono nell’area dell’Ecomuseo, ma certo ora è prematuro.

Antonio Saccoccio – L’approccio che hai indicato lo condivido perfettamente, prima bisogna creare un nuovo legame tra il sito e la comunità, solo eventualmente e in seguito coinvolgere anche altri che vengono da fuori. Purtroppo c’è un’ossessione continua che porta a trasformare qualsiasi cosa in attrazione turistica e questa ossessione impedisce di lavorare dando un senso profondo e un reale valore a ciò che si fa.

Roberta Tucci – Il problema che evidenzi e che condivido integralmente (“Purtroppo c’è un’ossessione continua che porta a trasformare qualsiasi cosa in attrazione turistica e questa ossessione impedisce di lavorare dando un senso profondo e un reale valore a ciò che si fa”) deriva da scelte politiche nazionali a mio avviso scellerate, che si sono dimostrate insostenibili per l’ambiente e incompatibili con i contesti umani sui territori, privati del senso di appartenenza e dell’intimità profonda con i luoghi abitati che prima avevano e che li hanno resi culturalmente autonomi in passato. Le voci che hanno sottolineato e che oggi ancor di più sottolineano la necessità di un cambiamento di prospettiva circa lo “sviluppo” restano inascoltate. Chissà poi quale benessere potrebbe portare il turismo a paesi come Roccagorga? Una follia. Raddrizzare questa visione, per recuperarne una più coerente con i luoghi in cui i tanti paesi collinari e montani sono situati, dando un senso al proprio vivere lì, e non altrove, può essere un obiettivo ecomuseale raggiungibile (almeno in parte!) avviando azioni concrete che portino le persone a prendersi cura fattivamente del proprio patrimonio culturale e naturale, per migliorare le loro vite, per acquisire relazioni e coerenze con gli spazi in cui vivono. Non è facile, sicuramente… ma ci si può provare.

Antonio Saccoccio – Purtroppo anche molti tra i migliori interpreti del territorio hanno sempre questo obiettivo del turismo in testa, ormai sembra che non si possa fare più nulla di significativo se non si monetizza turisticamente. I risultati di un simile approccio sono quasi sempre deludenti, ci si affatica tanto ma il turismo non arriva, anche perché cercare di creare turismo quando neppure i cittadini sono partecipi e consapevoli del proprio patrimonio ambientale e culturale è un po’ come voler costruire un grattacielo sulle sabbie mobili.

Roberta Tucci – Va anche tenuto conto di come negli ultimi vent’anni il processo sociale di conformismo e di omologazione sia divenuto molto più stringente rispetto allo scorso secolo, per cui oggi il punto di vista di un cittadino di Norma può non derivare da uno stile locale effettivamente da lui vissuto e incorporato, bensì da una costruzione retorica a lui veicolata attraverso i media (i nostri borghi…) e che lui ha fatto propria, magari senza neanche rendersene conto. Ne consegue che per poter costruire un processo partecipativo in una “comunità” occorre anzitutto decostruire l’immaginario esogeno che ha colonizzato le teste delle persone, cercando di trovare un equilibrio intellettualmente onesto fra la proposta del coordinatore e la risposta delle persone. Il coordinatore non deve imporre, ma neppure lasciare la briglia sciolta. Soprattutto è lui che deve avere ben chiaro il progetto. Poi via via le situazioni si decantano da sole e non sarà difficile individuare gli attori sociali che si muovono con una loro autonomia culturale e che possono diventare valide colonne dell’ecomuseo.

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