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É la Contessa terracinese Elisabetta Fiorini Mazzanti l’unica scienziata pontina dell’800 (di Francesco Tetro)

Ripubblichiamo l’interessantissimo articolo É la Contessa terracinese Elisabetta Fiorini Mazzanti l’unica scienziata pontina dell’800 di Francesco Tetro, pubblicato il 15 febbraio 2010 sul quotidiano “Il Tempo” nella rubrica “Latina da vivere”. Tetro è referente scientifico per l’Ecomuseo dell’Agro Pontino e responsabile, con Antonio Saccoccio, del Centro Studi dell’Ecomuseo sito presso la Libera Università della Terra dei Popoli (Pontinia).

Un territorio come quello pontino, affatto urbanizzato fino ai primi decenni del XX sec., con una natura dominante e così prossima alla Capitale, non poteva non attrarre, oltre i protagonisti del Grand Tour letterario e pittorico, anche l’interesse scientifico dei botanici, attivi in zona almeno dal Rinascimento. Fatto straordinario però è che una donna, la contessa Elisabetta Fiorini Mazzanti di Terracina, occupasse una posizione di indiscutibile rilievo internazionale nello studio della flora pontina. Nata a Terracina nel 1799 dal conte Giuseppe e da Teresa Scirocchi (a Terracina Alta, alle spalle della Cattedrale e probabilmente al centro del ghetto ebraico, notevoli solo le case che portano il nome della madre, le cosiddette “Case Scirocchi”, risalenti al XII-XIII sec.), apparteneva ad una famiglia agiata, aveva buone relazioni, raffinate tradizioni e soprattutto una educazione completa nelle discipline umanistiche, artistiche e nella lingue (francese, inglese e tedesco), indispensabili per i suoi studi scientifici come la botanica. Divideva la sua vita tra la casa di Roma, dopo aver sposato il conte e giureconsulto Luca Mazzanti, e le tenute familiari di Terracina e del Circeo, dove raccolse le prime piante, sotto la guida dello scienziato G.B. Brocchi e del botanico E. Mauri che dal 1820 dirigeva l’Orto Botanico di Roma. Il salotto romano di Piazza S. Claudio era frequentato da intellettuali e scienziati; si ricordano fra gli altri Carlo Luciano Bonaparte e il principe di Canino, anch’esso naturalista di chiara fama, che ebbe il merito di convincere Elisabetta a stampare nel 1828 la sua “Appendice al Prodromo della flora romana” (vi aggiunse una centuria, cioè ben cento nuove specie identificate nelle sue perlustrazioni). Molte di quelle cento nuove specie scoperte dalla Fiorini saranno successivamente pubblicate in riviste scientifiche di circolazione internazionale. Ma i suoi più importanti studi vennero rivolti all’ampelografia, cioè allo studio dei vitigni italiani, che gli valsero l’ingresso all’Accademia Reale delle Scienze di Torino. Dopo la morte del marito in giovane età (1841), del padre (che gestiva la Stazione di Posta di Terracina, vicinissima alla settecentesca residenza, purtroppo distrutta nell’ultimo conflitto mondiale) e dell’unica figlia, Elisabetta Fiorini si dedicò completamente all’amministrazione delle sue terre pontine e più intensamente agli studi naturalistici nell’agro terracinese, nelle zone palustri e nella Selva del Circeo. Suo merito, negli studi sulle alghe d’acqua dolce e d’acqua termale, fu il rinvenimento di una nuova specie di Diatomea, l’Amphora bulbosa, rinvenuta nelle acque salso-acidule presso Terracina, e la Porotrichum che venne battezzata Mazzantii Nob. La contessa, essendo appassionata della flora che nasceva nei pressi delle fonti, studiò particolarmente quella delle Acque Albule e prima di morire concluse i suoi studi sulla florula del Colosseo. C. Montagne la ricordò dando il suo nome ad alcune specie (Genere Mazzantia), come il Parlatore (Genere Fiorinia) e il Müller che denominò una nuova specie di muschio inviatogli dalla Fiorini “Filotrichella Fiorini Mazzantia”. Elisabetta Fiorini Mazzanti fu socia onoraria di prestigiose istituzioni scientifiche (Nuovi Lincei, Accademia di Orticoltura di Bruxelles, Accademia Agraria di Pesaro, Accademia Tiberina, Accademia dei Georgofili di Firenze, Accademia Economico-Agraria di Perugia, Società Medico-Fisica di Firenze, Accademia Leopoldina di Dresda, etc.) e lasciò la sua biblioteca con le sue ricerche, oltre i suoi preziosi erbari, all’Istituto di Botanica dell’Università La Sapienza di Roma. È un peccato che alla sua figura di scienziata non vengano dedicati approfonditi studi e che nel futuro Museo delle Bonifiche, da allestire a Terracina nel settecentesco Palazzo della Bonificazione, non venga dedicato uno spazio adeguato alla qualità delle sue ricerche

I cippi confinari di Sonnino (di Giuseppe Lattanzi)

L’antica festa pagana dei Terminalia celebrava  i confini resi sacri da una cerimonia in onore del dio Terminus. In questo contesto la posa di un cippo di confine detto termine prevedeva il sacrificio di fondazione: la linea confinaria  sarebbe durata solo dopo aver sgozzato e bruciato un animale sacrificale assieme ad offerte di incenso, frutta, miele e vino.  La festa di Zeus TERMINUS  si celebrava  il 23 febbraio ultimo mese del calendario romano.

Il tema del confine, che caratterizza l’antenna sonninese dell’Ecomuseo dell’Agro Pontino, valorizza una vocazione del territorio, in vario modo percepita e rappresentata nella vita sociale contemporanea.

La storia sonninese ha continuamente avuto a che fare con questioni riguardanti i confini. Sonnino era la “Frontiera” celebrata nelle cronache e nell’iconografia europea per l’indole ribelle dei suoi abitanti, briganti di fama, impegnati in contese e conflitti territoriali con le comunità limitrofe. Per questo motivo il paese è entrato nell’immaginario dei viaggiatori del “Grand Tour” e ancora oggi vanta, tra le sue principali manifestazioni, una processione che in occasione dell’Ascensione percorre a lume di torcia i confini del comune.

Per molti secoli i confini comunali sono stati quelli dello Stato della Chiesa.

Il 20 giugno 1838 sotto il regno di Ferdinando II (1810-1859) e il pontificato di Gregorio XVI (1765-1846), iniziarono ufficialmente le trattative per dare un confine stabile e condiviso ai due stati.

Il 26 settembre 1840 venne firmata la convenzione di confine che poneva termine a più di due secoli di contenziosi territoriali tra lo Stato Pontificio ed il Regno delle Due Sicilie. Il confine, lungo circa 500 Km, non era mai stato ben definito. «…La incertezza in cui trovasi per vicende di tempi in molti punti la linea di confine, che segna lo Stato pontificio dal Regno delle Due Sicilie […] che rimonta a tempi lontani, ha gravemente turbato, al pari che turba tuttavia la pace e la tranquillità delle popolazioni limitrofe, causa sempre rinascente di contese e misfatti» .

I confini naturali non erano sempre presenti per cui si resero necessari segnali artificiali come «…piccolle piramidi, o obelischi, o colonne di proporzionata consistenza».

L’articolo 3 della convenzione esprimeva i principi a cui si doveva sottostare per costruire una adeguata linea di confine. L’utilizzo di massi o colonnine per demarcare una linea di divisione risale ai tempi più antichi. I Romani con il dio Termine, ereditato dagli Etruschi, diedero il nome a quello che oggi comunemente si definisce come cippo di confine.

Per identificare i due stati dalla parte pontificia furono incise le chiavi decussate (incrociate) di San Pietro con sotto l’anno, mentre dalla parte borbonica si  incise il giglio con il numero progressivo dal mar Tirreno al mar Adriatico.

La forma dei TERMINI doveva essere cilindrica nella parte esposta con un lieve cappelletto sferico o conico in testa sul quale dovevano incidersi le linee direttrici. La parte esposta era lavorata a buccia d’arancia e doveva essere alta 1,10 m. con un diametro di 40 centimetri. La base doveva avere la forma di un parallelepipedo di circa 40 cm. Le colonnette di dimensioni maggiori  non dovevano misurare più di 1,80 m. Il peso variava dai 7 ai 12 q.

Dei 686 Termini messi in opera quelli dal n. 1 al 17 riguardarono la zona di Terracina. Furono posizionati dal 9 novembre 1846 al 17 novembre 1846. Nella zona di Sonnino furono posizionati quelli  dal n. 18 al 47. Gli scalpellini, che avevano anche l’obbligo del trasporto, operarono dal 18 novembre  al 14 dicembre 1846.

Sotto ogni colonnina in una scatola di legno venne posta una medaglia di ghisa detta “testimone”. Su di essa sono riportati gli stemmi di Ferdinando II Re delle Due Sicilie, di Papa Gregorio XVI  e di Papa Pio IX  .

L’operazione di demarcazione dell’intero confine , dal Mar  Tirreno a quello Adriatico, durò dal 9 novembre 1846 al 18 settembre 1847.

Giuseppe Lattanzi

(responsabile scientifico del Centro di Interpretazione locale dell’Ecomuseo dell’Agro Pontino “Museo Terre di Confine” di Sonnino)

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Termine n. 22 (Pero Ciavolone 1)

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Termine n. 32 (Località Fossa del Tavanese)

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Termine n. 1 (Foce del fiume Canneto, Terracina)

Fotografie tratte da: Giuseppe Albrizio, Le mie passeggiate
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Passeggiando tra le antiche pietre: dall’isola di Eea alla villa di Tiberio

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Dolci pasquali della tradizione: il Tortolo terracinese

Il tortolo è un tipico dolce della tradizione di Terracina. In realtà si continua a produrre anche in paesi limitrofi, come Monte San Biagio.
Gli ingredientri sono: pasta lievitata, uova, zucchero, farina, lievito di birra, olio d’oliva, limone grattuggiato e spremuto, liquore di anice, latte, semi di finocchietto.
Nelle versioni moderne del dolce aggiungono gocce di cioccolato.

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IN FOTO: un tortolo (nella versione con gocce di cioccolato) acquistato la vigilia di Pasqua in un antico forno del centro di Terracina.