L’Ecomuseo dell’Agro Pontino augura a tutte e a tutte le comunità dell’Agro Pontino un 2022 ricco di salute e felicità.

L’Ecomuseo dell’Agro Pontino augura a tutte e a tutte le comunità dell’Agro Pontino un 2022 ricco di salute e felicità.

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L’Ecomuseo dell’Agro Pontino augura Buon Natale a tutte e a tutti con questa significativa poesia in dialetto sermonetano di Dante Ceccarini, referente locale dell’antenna di Sermoneta (con Nestore Pietrosanti).
Ha sparìto!
Jó Bambinéglio ha sparìto!
Orammài è da tànti anni che aglio pòsto séo,
‘ngìma alla magnatóia, ce stà ‘nó panettóne.
La grótta schiòppa de toróni e pandòri,
lasàgne e tiramisù
‘nvéce che de pàglia càlla e mòrbito fièno,
de abbàcchi e capretti,
sarmóni e ‘nzalàte de màre
‘nvéce che pastóri co’ gl’ócchi sbrelluccicànti
e ùmile ggènde a vócca rapèrta,
de fòlla ‘mbazzìta cólla mascherìna
(che rabbèla mùcco e ànema)
‘nvéce che silènzio e meditazzióne.
Impèra, ssà, frìddo e ‘ndifferènza
‘nvéce che calóre umàno e umàna pietà.
Jó bbòve e j’asinéglio se la so’ ccòta
e se ne so’ ìti londàno
a pàsce ‘ngìma a tère ppiù gràte
e tórno tórno alla magnatóia ce stào
forèste de àrberi de plàstica,
cómme de plàstica so’ gl’augùri che se scàmbieno.
Bangomàtte e carte de crédito
hào préso jó pósto dégli Re Màggi.
Aglio pòsto della stélla comèta
vèo proiettàti i fìrmi de Natàle,
i sàcri cinepanettùni,
ca sùlo a guardàlli te fào venì la diabbète.
Ce stà de tùtto,
tùtto chéllo che ‘na perzóna desìdera,
ma pròpio ‘na perzóna mànga:
mànga jó Bambinéglio!
‘Nze scèrne ppiù jó Bambinéglio
amméso a tùtto chésso: ha stàto cacciàto
dalla magnatóia e dalla grótta.
Ma
jó témbo è ‘nó mammòccio che dòrme,
jó témbo è ‘nó mammòccio che rìde,
jó témbo è ‘nó mammòccio che sàrva,
e jó Bambinéglio va cerchènno ‘n’atra magnatóia
péll’anno pròssimo, sperènno
de non èsse cacciàto de nòvo.
Dante Ceccarini 24 dicembre 2018-24 dicembre 2021
Il Bambinello sfrattato
E’ sparito!
Il Bambinello è sparito!
Ormai è da tanti anni che al posto suo,
sulla mangiatoia, c’è un panettone.
La grotta scoppia di torroni e pandori,
lasagne e tiramisù
invece che di paglia calda e morbido fieno,
di abbacchi e capretti,
salmoni e insalate di mare
invece che pastori con gli occhi luccicanti
e umile gente a bocca aperta,
di folla impazzita con la mascherina
(che nasconde faccia e anima)
che corre corre corre e compra compra compra
invece che silenzio e meditazione.
Impera, qui, freddo ed indifferenza
invece che calore umano e umana pietà.
Il bue e l’asinello sono scappati
e sono andati lontano
a pascolare su terre più grate
e tutto intorno alla mangiatoia
foreste di alberi di plastica,
come di plastica sono gli auguri che si scambiano.
Bancomat e carte di credito
hanno preso il posto dei Re Magi.
Al posto della stella cometa
vengono proiettati i film di Natale,
i sacri cinepanettoni,
che solo a guardarli ti fanno venire il diabete.
C’è di tutto,
tutto quello che una persona desidera,
ma proprio una persona manca:
manca il Bambinello.
Non si vede più il Bambinello
in mezzo a tutto questo: è stato cacciato
dalla mangiatoia e dalla grotta.
Ma
il tempo è un bambino che dorme,
il tempo è un bambino che ride,
il tempo è un bambino che salva
e il Bambinello va cercando un’altra mangiatoia
per l’anno prossimo, sperando
di non essere cacciato nuovamente.
Dante Ceccarini 24 dicembre 2018-24 dicembre 2021
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Sabato 18 dicembre 2021, alle ore 11, il Museo della Terra Pontina, in occasione della Celebrazione dell’89° Anniversario di Fondazione di Latina, non volendo mancare ad un appuntamento ormai diventato negli anni tradizione, ha organizzato un incontro per presentare le attività in corso e le attività programmate per l’anno 2022.
Introducono Manuela Francesconi, Direttore del Museo e Ornella Donzelli, Coordinatore Didattica museale. Partecipano docenti e studenti del Liceo Classico Dante Alighieri e del Liceo Artistico Michelangelo Buonarroti.
Presso il Museo sono fruibili le mostre «VOCI DALLE ACQUE» e «MARCELLO ZEI: passione e ricerca», a cura dell’Ecomuseo dell’Agro Pontino.
Ingresso esclusivamente con il certificato verde.

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7 dicembre 2021 in Ecomuseo dell'Agro Pontino
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Sabato 4 dicembre è stato presentato presso il Museo della Terra Pontina di Latina, centro di interpretazione dell’Ecomuseo, il volume “Piccolo trattato di pediatria poetica” di Dante Ceccarini. Con l’autore sono intervenuti Manuela Francesconi (direttrice del Museo della Terra Pontina), Antonio Saccoccio (coordinatore tecnico-scientifico dell’Ecomuseo dell’Agro Pontino) e Mauro Nasi (editore Sintagma). La presentazione, a cura dell’Ecomuseo dell’Agro Pontino e del Museo della Terra Pontina, con la collaborazione della Libera Università della Terra e dei Popoli, dell’Associazione Don Vincenzo Onorati e delle edizioni Sintagma è durata poco meno di due ore ed è stata accompagnata da alcune letture interpretate dall’attrice Amalia Avvisati e due intermezzi musicali del chitarrista Reginaldo Falconi. Ceccarini, Nasi e Saccoccio hanno dedicato particolare attenzione ai temi dell’infanzia, della spontaneità creativa e dell’oralità. Ecco qualche fotografia della mattinata.




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Sabato 4 dicembre, alle ore 11, sarà presentato presso il Museo della Terra Pontina di Latina il volume “Piccolo trattato di pediatria poetica” di Dante Ceccarini (Sintagma edizioni). Interverranno, insieme all’autore, Manuela Francesconi (direttrice del Museo della Terra Pontina), Antonio Saccoccio (coordinatore tecnico-scientifico dell’Ecomuseo dell’Agro Pontino) e Mauro Nasi (editore Sintagma). Accompagneranno la presentazione alcune letture interpretate dall’attrice Amalia Avvisati e intermezzi musicali del chitarrista Reginaldo Falconi.
Evento a cura dell’Ecomuseo dell’Agro Pontino e del Museo della Terra Pontina, con la collaborazione della Libera Università della Terra e dei Popoli, dell’Associazione Don Vincenzo Onorati e delle edizioni Sintagma.
Coordinamento e gestione: Libera Università della Terra e dei Popoli.
Con il contributo della Regione Lazio, Direzione Cultura tramite il bando D.D. G05210. del 06/05/2021.

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Quest’anno a VENOLEA, l’evento di punta del Parco Regionale dell’Olivo di Venafro, patrocinato dal Ministero delle Politiche Alimentari, Agricole e Forestali e dall’Associazione Nazionale Città dell’Olio, sarà presente Ernesto Migliori, Responsabile Settore Tutela e Valorizzazione dei Paesaggi naturali e della Geodiversità per l’Ecomuseo dell’Agro Pontino, che terrà una relazione sul paesaggio terrazzato di Vallecorsa.

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L’antica chiesa di S. Francesco, annessa all’omonimo convento e al suo bellissimo Chiostro, venne edificata nel 1521 fuori, ma non lontano, dal centro abitato di Cori. Negli ultimi decenni lo sviluppo urbanistico del paese ha fatto sì che ne sia stata quasi inglobata. È uno dei siti paesani più amati dai coresi e mèta di visite da parte dei fedeli e di turisti in cerca di pace e tranquillità… un luogo quasi mistico. Il complesso monumentale venne costruito in seguito ad un voto fatto dal Comune di Cori a due frati francescani che predicarono in città intorno alla metà del ‘400 portando pace e conforto fra gli abitanti del territorio. Il convento fu consegnato ai Frati nel 1526 insieme alla Chiesa che si caratterizza per il suo splendido soffitto in legno a cassettoni dorati, stucchi e quadri di valore, la preziosissima pala dell’altare maggiore ed il coro di noce intarsiato.
Tanti i frati che nel corso dei secoli si sono succeduti prestando il loro umile servizio presso quest’oasi religiosa e Padre Raffaele e Fra’ Silvestro sono stati quasi gli ultimi di quest’elenco secolare ad occuparsi del convento corese, pertanto il loro ricordo è ancora vivissimo nella memoria dei paesani. Con il loro instancabile lavoro hanno tenuto in vita il convento, la chiesa ed il giardino con il boschetto ad esso adiacente.
Fra’ Silvestro, al secolo Alessandro Sisti (1919-2001), era nato a Ferentino, dunque un ciociaro che parlava con il caratteristico accento e qualche vocabolo dialettale della sua terra natia, ragion per cui a volte il suo discorrere non era facilmente comprensibile. Era “frate turzone”. Con questo termine dialettale corese si intende un frate laico, cioè colui che veste l’abito, ma non ha preso i voti quindi non può officiare la Messa. Paradossalmente al significato dispregiativo che vuol dire anche persona poco capace, prestava con estrema abilità il suo lavoro nell’orto, come apicoltore ed era “specializzato” per la questua del vino che effettuava nel corso della “svinatura” di ottobre. Ma la qualità peculiare, per la quale era conosciutissimo in ogni parte d’Italia, era la capacità di curare la sciatica con il metodo empirico del salasso. Questa patologia, peraltro piuttosto diffusa, consiste nell’infiammazione del nervo sciatico, il più lungo del corpo umano, che si diparte dalla zona lombare fino ad arrivare alla caviglia. Il dolore si irradia dalla gamba nella parte posteriore, di solito solo da un lato, e nei casi più gravi impedisce la deambulazione. La metodica praticata da Fra’ Silvestro consisteva nel far fuoriuscire sangue da una vena (flebotomia) in prossimità del malleolo esterno della gamba affetta da sciatica tramite un taglio. Ci sono tracce di questa tecnica empirica fin dai tempi più remoti. Fu importata dai greci e dai frati Francescani dall’oriente ai tempi del medioevo ed ora è praticata anche da alcuni rappresentanti della classe medica. Indipendentemente dalle basi scientifiche che giustificano il successo terapeutico, il salasso praticato da Fra’ Silvestro dava ottimi risultati e gente che entrava claudicante usciva spesso completamente guarita…saltellando, giurando riconoscenza eterna al frate “guaritore”. Tuttavia ci potevano essere casi in cui il dolore non era dovuto ad una semplice sciatica, non sempre era possibile ottenere una guarigione ed il frate stesso anticipava al malato se era o no il caso di praticare il taglio, inoltre requisito indispensabile al successo del salasso era di non aver assunto alcun tipo di farmaco. C’è da aggiungere che non veniva chiesto in cambio alcun tipo di pagamento, ma solo un’offerta libera per il sostentamento del convento.
Padre Raffaele, oltre a celebrare la messa e le altre funzioni religiose, era un instancabile questuante. Nei primi anni dopo la guerra girava per il paese a piedi, sacco in spalla, calzando i sandali caratteristici dei francescani, senza calzini anche in pieno inverno. Negli anni successivi passava per la questua a cavallo dell’asino e poi finalmente riuscì a motorizzarsi con l’Ape, motoveicolo a tre ruote, depositando il fruttato della questua dietro il cassone. Era sempre ben accolto da tutti, credenti e non, dato che era una persona simpatica e gioviale e con il ricavo delle questua, oltre a sostenere il convento, si distribuivano pasti a chiunque ne avesse necessità, soprattutto nell’immediato dopoguerra data l’estrema povertà del momento, forse il più critico, vissuto dalla comunità corese. Amava il buon vino e a volte, allegrótto per qualche bicchiere in più, dimenticava i pezzi del rituale religioso. Ciò lo rendeva ancora più simpatico ed umano; in realtà, anche se un po’ smemorato, era una persona di notevole cultura tale da sapere il latino in maniera profonda. Conosceva a memoria tutte le “poste”, sapeva a chi, dove e cosa chiedere e in cambio del ricevuto donava il santino di S. Francesco. Proprio a questo riguardo si narra di lui un aneddoto divertente:
Padre Raffaele aveva quasi ultimato il suo giro questuante. La prima tappa era stata quella dal vinaio il quale gli aveva dato una damigiana di buon vino e lui in cambio il santino di S. Francesco. Poi era andato al frantoio ed aveva ricevuto un fiasco d’olio ed egli ovviamente offrì il santino, poi dal fornaio che regalò al frate una grossa pagnotta di pane….ed il frate gli diede il santino. Dal contadino ebbe frutta, verdura e patate…ed egli il solito santino. Finalmente uscendo dal paese per ritornarsene al convento passo a “precoio”. In corese con questo termine si intende il sito di campagna dove vivono i pastori con le greggi e dove lavorano il latte a ricavarne ricotte e formaggi. Si avvicinò al pastore e gli disse: – Buon pecoraio, hai qualcosa cosa da offrire per il convento di S. Francesco? – E comme no… te pòzzo dà na caciottella de caso… Il pastore entrò nella capanna prese una forma di cacio, ma ebbe un ripensamento. Gli sembrava troppo darla intera, dunque la tagliò, metà la tenne per sé e l’altra, uscendo dalla capanna, la offrì al frate. Padre Raffaele per tutta risposta prese il santino, lo strappò a metà e ne offri una sola parte al pastore che rimase perplesso davanti a quello strano gesto ed esclamò:
– Zi fra’ …ma che me dà méso santino?
– Embè !…figliolo caro, “méso cacio frisco… e méso S. Francisco”.
E cosi detto, senza scomporsi, prese la mezza caciotta e se ne tornò al convento.
[di Patrizia Carucci, amministratrice del gruppo “Còri mé bbéglio” e referente locale per l’Ecomuseo dell’Agro Pontino]
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