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Ambiente e insediamento nei Quartieri Q4 e Q5: incontro al Cersites

Importante incontro ieri a Latina presso la sede del Ce.R.S.I.Te.S, Centro di Ricerche e Servizi per l’Innovazione Tecnologica Sostenibile – Sapienza Università di Roma.

Il Gruppo di lavoro del Cersites è impegnato a concludere il contratto di ricerca “Seconda fase degli studi propedeutici al Piano strategico della città e del territorio del Comune di Latina” con il Servizio di Pianificazione e Progettazione Urbanistica del Comune di Latina. Per discutere delle problematiche ambientali e insediative dei quartieri Q4 e Q5 ha chiesto ai membri del Patto di collaborazione Gli alberi di Nascosa e dell’Associazione Quartieri Connessi un incontro con la partecipazione anche dell’Ecomuseo dell’Agro Pontino.

Sono state confrontate le possibili linee di azione per un assetto sostenibile del territorio dei due quartieri individuando molteplici punti di condivisione che costituiranno un riferimento per le soluzioni che saranno proposte dal Gruppo di lavoro del Cersites negli elaborati del contratto.

Inoltre sono state ipotizzate possibili forme di collaborazione con le attività dei membri del Patto di collaborazione nella cura delle aree verdi.

Presenti all’incontro: prof. Alberto Budoni, arch. Nice Canari, arch. Luigi Onori e ing. Gianluca Vavoli (per gruppo di lavoro del Cersites), Bruno Fontanarosa, Eliberto Lucantonio, Emanuele Di Russo, Lorenzo Bassetti, Oriana Ciaccio, Maria Dolores Spadaccio (per il patto di collaborazione Gli alberi di Nascosa), Ferdinando Cedrone, Lorenzo Bassetti e Gioconda Bartolotta (per Quartieri Connessi), Amedeo Giustarini e Antonio Saccoccio (per l’Ecomuseo dell’Agro Pontino).

Notte dei musei a Roccagorga (tavola rotonda)

In occasione della notte dei musei l’EtnoMuseo Monti Lepini di Roccagorga ospiterà il 15 luglio la tavola rotonda I costruttori di località. Trasformazione del paesaggio: da naturale ad antropico, da territorio a “luogo”.

Introducono e coordinano Eros Ciotti, Presidente Associazione Metropoli’s e responsabile dell’EtnoMuseo, e Antonio Saccoccio, coordinatore tecnico-scientifico dell’Ecomuseo dell’Agro Pontino.

Intervengono: Alberto Budoni (docente presso il Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale presso l’Università Sapienza di Roma), Fabiano Riccardi (archeologo), Francesco Tetro (architetto e storico dell’arte). A seguire dialogo con i presenti sui temi affrontati dai relatori.

L’EtnoMuseo Monti Lepini di Roccagorga è anche centro di interpretazione locale dell’Ecomuseo dell’Agro Pontino.

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Storia di Latina, percorso didattico interattivo (a cura di Ornella Donzelli)

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Una volta lì c’erano le paludi…

Una poetica descrizione tratta da Aurora di Stanislao Nievo. L’Agro Pontino, visto dal Circeo, come una scacchiera di strade, il fastidio per quella fredda geometria, gli alberi scomparsi, un ricordo d’un tempo svanito, il fiume Astura, un’incisione veneta…

Alessandro aveva vissuto la sua vita in quella pianura ai piedi del monte. Una volta lì c’erano le paludi. Ora il territorio era travolto da un progresso frenetico, ma un tempo, quando lui era bambino, erano esistite distese selvagge, spiagge vuote, borghi pieni di malia e campagne dai ruderi antichissimi.
Lui aveva lasciato il suo cuore a quel mondo scomparso, durato per millenni, proprio fino alla sua nascita. Sentiva che laggiù c’era qualcosa, un’avventura sepolta, distrutta dalla chiassosa bonifica di redenzione che aveva dato il via allo sviluppo agricolo. Molta gente era stata sfamata così, la malaria era scomparsa ma qualcos’altro si era perduto. era questo un pensiero proibito che Alessandro teneva per sé. Con le spalle al Circeo e al sole nascente, i suoi grandi occhi marrone vedevano la pianura rischiararsi da lontano, in un gioco di effetti luminosi.
Il sole investiva i profili con geometrica gerarchia. Ogni collina, ogni bosco residuo fino al mare si trasformava al suo tocco gonfiandosi di colore. L’Agro Pontino splendeva, come una scacchiera dalle strade rette e i punti bianchi, le case coloniche.
Era stata l’arena di lotte massacranti tra razze e tribù di verse all’alba della civiltà, una landa affascinante di acquitrini e selve. Ora era sparito quasi tutto. Rimaneva qualche rudere, circondato da ansie nuove, da gente diversa. I suoi primi abitanti erano scomparsi. I loro progenitori erano considerati autoctoni, figli degli alberi, si diceva. Ma anche gli alberi erano quasi del tutto spariti. Restavano intorno al Circeo, e in pochi angoli trascurati. Gli abitanti producevano e legavano i propri interessi ad altre cose, intorno alle poderose strade asfaltate che s’incrociavano dappertutto tra paesi di orrida geometria. Dal monte, Alessandro non vedeva questa nuova faccia dell’Agro Pontino, se non per quella scacchiera  di case sparpagliate che pareva un gioco. Da quassù si intravedevano i margini antichi delle paludi che l’agronomo sognava. In quel quadro, che il sole continuava a svelare salendo dietro il monte, brillò un fiume, poi un borgo dal colore sfatto. Alessandro lo riconobbe. Vi aveva abitato da bambino. Lo assalì un’onda di ricordi. Storie svanite, di ogni ragazzo. Tornavano con l’aurora che correva sulla pianura. Vedeva un luogo lungo il fiume Astura, sulle basse colline vicino al mare. Era un posto che non aveva mai visitato ma che un tempo scorgeva dalla vecchia strada di casa. Per qualche ragione l’aveva sempre considerato un luogo inesistente, come un buco, la fine di qualcosa. Talvolta l’aveva anche sognato, popolato da fauni danzanti insieme alle menadi. Ricordava che questi erano personaggi usciti da un’antica stampa litografica appesa in casa, un’incisione, portata dal Veneto quando erano venuto ad abitare lì con la famiglia, al seguito del padre ingaggiato nei lavori di drenaggio delle paludi. Ora il padre se n’era andato, e l’incisione era scomparsa, chissà dove.

La cima del Circeo s’illuminò. Il sole era giunto. L’aurora cancellò l’ombra con un impulso delicato che tremava sulle piante investite. Alessandro sentì la sconcertante dolcezza del momento. Si era goduto quella carezza per i pochi secondi in cui aveva attraversato l’Agro Pontino. Ora l’aspettava su se stesso.

[tratto da: Stanislao Nievo, Aurora, 1979, pp. 16-18]