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“Bacino delle Paludi Pontine o meridionale” (dalla Guida della provincia di Roma di E. Abbate, 1890)

Enrico Alessandro Abbate (Milano, 1858 – Roma, 1929) scrisse, tra le altre sue opere, una fondamentale “Guida della Provincia di Roma”, pubblicata nel 1890 dalla sezione romana del Club Alpino Italiano. Abbate era entrato giovanissimo nella sezione romana del CAI, in cui poi ricoprì per venti anni la carica di Segretario. La Guida è divisa in due volumi: nel primo si illustrano topografia, orografia, idrografia, clima, geologia, flora, fauna, storia, arte, costumi, lingua, prodotti del suolo, industrie, commerci, viabilità; il secondo è dedicato agli itinerari, divisi in itinerari sulla riva destra e sulla riva sinistra del Tevere.

Pubblichiamo qui sotto il paragrafo intitolato “Bacino delle Paludi Pontine o meridionale”, tratto dal capitolo “Topografia e orografia”. Il passo è degno di interesse perché restituisce una visione sintetica ma completa del nostro territorio alla fine del XIX secolo.

Bacino delle Paludi Pontine o meridionale

Ed eccoci al terzo ed ultimo bacino, racchiuso tra i monti Albani a N, i Lepini che formano una curva per circondarlo da E a S, ed il mare a O. È costituito da una superficie bassissima che si stende con dolce declivio da Cisterna a Terracina. Solo una leggiera prominenza longitudinale forma come barriera in faccia ai Lepini e impedisce che le acque si versino per questa zona direttamente al mare, obbligandole invece a percorrere la pianura nel senso della massima lunghezza fino alla costa di Badino che lega Terracina al Circeo. La lunghezza del bacino è di 66 km, e la larghezza di 35. Mentre gli altri due bacini sono a colline e a monti, e sono percorsi da numerosi corsi d’acqua scavati in letti profondi, questo bacino è quasi dovunque allo stesso livello e le acque, una volta stagnanti, vanno ora in gran parte raccolte da un ampio canale. Le paludi formano una vasta pianura, coperta di pascoli e di foreste, e terminante al mare. Il capo di Anzio, quello d’Astura ed il Circeo sorgono alla estremità.

Dalle belle città di Genzano, di Civitalavinia, di Velletri, situate sulle verdeggianti e ben coltivate falde dei Laziali, si scende in una campagna arida, denudata, monotona, senza limiti apparenti. A mezzodì di Cisterna, borgo triste ed ultima agglomerazioni di abitazioni, fino al mare, il terreno è argilloso e spesso coperto d’acqua. A O si stendono immensi pascoli fino ad una foresta, mentre dall’altro lato una seconda foresta occupa lo spazio fra il piede delle montagne e la via. Innumerevoli mandre di buoi, bufali e maiali popolano questa pianura, al di là della quale cominciano gli stagni della Tepia, avanguardia delle paludi. Sebbene monotono e triste a percorrersi, questo paesaggio ha una grandezza che impone e che riesce ammirevole.

La parte occidentale del bacino contiene una pianura boscosa e le ultime ondulazioni dell’Artemisio. La vegetazione va languendo ed una stretta zona di terreni coltivati si interpone fra una foresta ed il mare, nel quale si avanza il promontorio su cui è assiso Anzio e poco oltre Nettuno. Al di là di questo ultimo villaggio la foresta continua a stendersi lungo il mare, interrotta soltanto, a 15 km di distanza, dal promontorio d’Astura. Oltre Astura continua ancora, tagliata da laghi che strette lingue di terra separano dal mare. Il primo e più esteso è il lago di Fogliano in cui sbocca il ruscello di Conca o Astura; gli altri, minori per estensione, sono i laghi di Monaci, di Caprolace e di Paola. Sulle rive di essi la natura ha sparso brillante vegetazione e le quercie, i sugheri, i frassini, gli olmi vi crescono confusamente con arbusti e piante rampicanti. I lupi e i cignali disputano ai buoi, ai cavalli, ai maiali, che vivono qui in perfetta libertà, questa foresta, spesso quasi impenetrabile, la quale riposa in parte sopra terreno alluvionale piano ed umido, in parte sopra dune che hanno 15 a 18 m. di elevazione. Al di là del lago di Fogliano, esse sono tagliate da una immensa escavazione, attribuita al papa Martino V di cui porta il nome, così profonda che la cima dei grandi alberi, i quali crescono nel fondo, non giunge al livello della sua ripa.

Si trova quindi il Circello o Circeo, enorme masso calcareo di 13 a 14 km di circuito, che si eleva a picco fra un’immensa pianura ed il mare, mentre il suolo che lo circonda è tutto alluvionale. La pianura fra il Circeo e Terracina è coperta d’acque stagnanti e di boschi e forma una catena di dune per una larghezza di 16 km, interrotta da un corso d’acqua largo da 20 a 25 m., detto Portatore di Badino. Terracina si eleva in anfiteatro sopra i fianchi ripidi di un monte calcareo.

Da Terracina, volgendo verso N e seguendo la via Appia che attraversa nella sua lunghezza l’intiero bacino, si vedono tutti i lavori di disseccamento. Al primo piano un tappeto di brillante verde copre il suolo, attraversato dall’Amaseno che discende dalle gole dei Lepini; più lungi il canale dell’Uffente, anch’esso nascente nei Lepini presso Sezze.

Fra questi due corsi d’acqua e al di là dell’ultimo, fino a che può giungere l’occhio, in piano perfettamente orizzontale, si stendono pascoli, coperti da numerosissime mandre di buoi. La via Appia fra quattro file d’alberi traccia una immensa linea dritta: a lato di essa, corre il grande canale di scolo, detto Linea Pia. Tutte le acque si riuniscono a Ponte Maggiore e rapidamente sboccano nel mare per mezzo del canale detto Portatore di Badino, mentre un altro canale pone in comunicazione la Linea Pia col porto di Terracina.

Le antiche stazioni di posta sono le uniche abitazioni che interrompano la solitudine di questo immenso deserto; soltanto ad oriente l’orizzonte è chiuso dal pittoresco e variato gruppo dei Lepini sulle cui rocce grigiastre si adagiano interessanti paesi.

La pianura che si estende fra l’Amaseno e i Lepini è coltivata con molta cura e intelligenza, ma è continuamente minacciata dal fiume, malgrado le alte dighe che racchiudono le acque sempre cariche di massi rocciosi tolti ai monti. Un ponte di pietra sull’Amaseno dà ingresso ad una stretta gola resa anche più tetra da una folta foresta di sugheri e di verdi querce.

Nel mezzo di questo severo paesaggio sorge l’antico convento dei Trappisti, l’abbazia di Fossanova; a destra nella valle di Sassa, Sonnino; ed a sinistra Piperno sopra una collina ricca di olivi. Qua la scena cambia: non sono più le pianure senza confine, l’orizzonte immenso delle paludi; una stretta cerchia di montagne circonda, con i suoi scaglioni coperti d’olivi o di boschi, una pianura, ben coltivata, irrigata dall’Amaseno; le vette dei Lepini, fra cui spicca il Cacume, s’ergono sui verdi pendii che ne formano la base; siamo rientrati nel dominio della piccola coltura, lungi dalla malaria, e perciò numerosi villaggi, Maenza, Roccagorga, Roccasecca, popolano le falde dei monti.

La pianura a oriente di Piperno, formata di sabbia ghiaiosa e ordinariamente lavorata dai bufali, è coltivata a cereali e a vigenti. Al di là della gola, dalla quale esce l’Amaseno e la quale termina in una larga vallata, nella direzione di S, si trova Prossedi, situato sullo spartiacque delle Paludi e del Sacco.

All’estremità occidentale della piana di Piperno, fra due rigonfiamenti della montagna, sorge Sezze; più oltre, sempre sulle falde dei monti, in posizioni forti, Sermoneta, Bassiano, Norma.

I Lepini, che da questo lato han corso fin qui da S a N, or girano ad angolo retto verso oriente, e alla sommità di quest’angolo sta Cori. Al di là perdono l’aridità e l’asprezza che caratterizza il loro versante occidentale; al di sopra dei piani boscosi delle loro falde, in elevata posizione, si trovano Rocca Massima e Artena, mentre al fondo della vallata, che va fino a Velletri, è situato Giuliano, presso il cratere d’un vulcano ora ripieno di acque stagnanti. A questo punto entriamo nel bacino o valle del Sacco.