Io sono nato a Cisterna di Roma il 29 ottobre 1924. Appena nato, il tempo necessario che mamma si rimettesse in sesto dopo il parto alle Castella (una frazione) a nord di Cisterna, lontana circa tre chilometri, dove lavorava mio padre in qualità di barozzaro per conto di un imprenditore agricolo il quale provvide a farlo alloggiare con la famiglia in un manufatto a forma cilindrica che sembrava castello (da qui il nome alla località). Era abitabile solo il primo piano, mentre al piano terra c’erano gli attrezzi da lavoro. Il compito di mio padre era trasportare cose, di conseguenza non stava quasi mai a casa, a volte tornava a casa la sera tardi, non aveva orario, si lavorava dall’alba al tramonto. […]
Lentamente passarno tre anni finchè trovò un altro lavoro e si trasferirono a Cisterna, presero in affitto una casetta di due stanze a Torrecchia di proprietà di Renato Salvatori; era una casetta isolata vicino la strada in mezzo ad un vasto terreno recintato. C’erano tante piante da frutto. Il lavoro che aveva trovato mio padre era sempre lo stesso, solo che prima faceva il trasportatore con le vacche, poi faceva il trasportatore con i bufali. Lavorava per conto del Duca Caetani al procoio di Foceverde dove erano ricoverate le bufale per la produzione del latte. Oltre che i prodotti del latte trasportava ogni sorta di merce, specialmente grano, che porvata al granaio di Cisterna.
La bonifica dell’agro pontino era ancora agli inizi pertanto si viaggiava su stradoni di terra battuta. L’unica strada era quella di Passo genovese che partiva da Foceverde fino a Barabini (oggi Borgo Piave), proseguiva per Cisterna passando per Sessano (oggi Borgo Pogdora) e arrivava a Cisterna. Il canale Mussolini ancora non era incominciato, perciò non si passava sul ponte. In estate si camminava relativamente bene ma d’inverno era un’impresa – direi – più che eroica. Figuriamoci guidare i bufali in mezzo a quella fanghiglia! Mio padre tutti i giorni faceva avanti e indietro trasportando sul baroccio carichi fino a dieci quintali. […]
Allora gli orologi non esistevano (almeno per i poveracci) il tempo non contava, quello che contava era il giorno e la notte, dove ti trovavi dovevi arrangiarti. Tutto questo durò un paio d’anni, poi incominciò a svilupparsi la bonifica integrale. Serviva tanta manodopera, c’era lavoro per tutti, il territorio si riempì di gente proveniente da tutte le parti d’Italia, e partirono gli scavi. Il primo fu il canale Mussolini che partiva da sotto la montagna di Norma e arrivava a Foceverde (mio padre fece carriera: da barozzaro diventò bracciante). Non avendo più a che fare con le vacche né coi bufali respirò: il nuovo lavoro era ugualmente faticoso però sapeva quando incominciava e quando finiva.
Il lavoro era a cottimo, appena attaccava gli davano un tot di metri cubi da scavare, quando aveva finito era libero.
[tratto dal volume autobiografico La lunga vita piena di guai di un uomo qualunque, di Flavio Pietrantoni]